Rogatorie, un patto politico?
(27 ottobre 2001) Un mese esatto. Il 27 settembre il governo Berlusconi, pur dopo accese polemiche e una sconfitta sul campo a causa di un emendamento ottenuto dall'opposizione grazie ai franchi tiratori del centrodestra, ha incassato la vittoria finale, essendo stata approvata la nuova legge sulle rogatorie.
Questa è
l'ennesima legge fatta su misura per il capo del governo, dopo quella sul falso
in bilancio e dopo quelle per i due condoni sul lavoro in nero e sul denaro
nero illegalmente portato all'estero, mentre la prima questione che invece
c'era da risolvere con urgenza, la legge sul conflitto d'interesse, continua a
latitare dagli ordini del giorno delle riunioni governative.
Da quel
giorno, mi ronza in testa un più che legittimo sospetto: esiste un patto
politico tra Berlusconi e il centrosinistra, che prevede il ritorno al potere
di quest'ultimo dopo che sua Emittenza sarà riuscito a scrollarsi di dosso
tutte le questioni giudiziarie che da anni lo opprimono e a trarre i maggiori
vantaggi possibili per le sue aziende?
Direte che
non è possibile, in quanto uno come Berlusconi il potere non accetterebbe di
mollarlo mai… Ma sono troppe le domande alle quali, dopo il 27 settembre
scorso, non riesco più a dare risposte.
La prima è:
perché la legge sul conflitto d'interesse non l'ha fatta il centrosinistra nei
cinque anni precedenti? Forse perché quest'argomento irrisolto, che già aveva
determinato la caduta del primo governo Berlusconi, potrebbe costituire
l'ulteriore débâcle anche per l'attuale?
Un'altra
domanda è: perché il centrosinistra non ha fatto la legge sulle rogatorie prima
di abdicare, pur avendola avuta per mesi in calendario?
È
comprensibile che il centrosinistra al potere non potesse chiedere di far
approvare leggi di condono, ma assolutamente incomprensibile è perché sulla
legge delle rogatorie abbia scelto di fare seppuku.
La legge
proposta, non tanto per i suoi aspetti formalistici, ma unicamente per la sua
previsione di retroattività ai procedimenti in corso è, senza dubbio, dal punto
di vista giuridico, scandalosa: le nuove norme di diritto sostanziale in campo
penale si applicano sì retroattivamente a favore del reo (principio di
legalità: nessuno può essere punito per un fatto che la legge non cosideri più
sanzionabile), ma pretendere che anche una nuova disposizione di diritto
procedurale si applichi ai processi in corso, è macroscopicamente
incostituzionale. Infatti, è evidente che viola la parità processuale tra le
due parti del processo penale, pubblico ministero e imputato. È come dire: tu,
pubblica accusa, che hai ottenuto legalmente delle prove in base alla legge del
tempo in cui hai fatto gli atti, contro i quali all'epoca il difensore
dell'imputato si sarà, pur vanamente, opposto, non hai più la possibilità di
utilizzarle perché ora per la nuova legge sono considerate illegali! E,
naturalmente, questa retroattività opera in una sola direzione, cioè per le
prove portate dal pubblico ministero e non per quelle offerte dalla difesa
dell'imputato.
Questo determinante
concetto veniva esposto nella "pregiudiziale di costituzionalità"
presentata dal ds Antonio Soda, bocciata il 27 settembre dal centrodestra
per 229 voti contro 186. Ma perché quella mattina alle 9,00 alla Camera dei
Deputati non c’erano in aula tutti i 253 deputati dell'Ulivo che avrebbero,
a conti fatti, portato ad incassare la vittoria decisiva? D'Alema e Rutelli,
ad esempio, dove eravate quel 27 settembre? Ancora al bar a consumare la colazione,
o, peggio, in barca a vela o a giocare a golf?